La “Pietro Fontana” arriva in Romania


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Pubblicato nell’ edizione 445 pagina 6 il 2010-10-25 – Sette Giorni

Cinquantanove anni, di Calolziocorte (Lecco) – il paese di Michela Vittoria Brambilla – Walter Fontana è il presidente della Pietro Fontana, impresa famigliare nata appena prima del boom economico (nel 1956) ed esplosa nei mitici anni Settanta della Terza Italia e dei distretti.

La Pietro Fontana fa progetti di ingegneria e costruzione di stampi per case automobilistiche, il 90% dei ricavi viene dall’estero (la metà in Germania). Oggi fattura 73 milioni di euro, impiega oltre 500 addetti e lavora con i big: da Audi a Bmw, da Mercedes a McLaren fino a Ferrari e Daymler. Le scocche di alcune fuoriserie arrivano a Maranello direttamente da Calolziocorte. La svolta s’impone dieci anni fa, e monta insieme “all’incazzatura” – testuale – di Walter. Da stampi per l’automotive l’azienda si allarga all’assemblaggio dei veicoli di nicchia.

Da qui la necessità di trovare nuovi spazi. Nel 2003 aprono uno stabilimento in Turchia, a Istanbul, “dove impieghiamo 250 addetti e abbiamo investito 30 milioni”. Poi il secondo passo: “In primavera apriremo a Pitesti, in Romania, vicino allo stabilimento della Dacia”. Pieno indotto automotive, dove si sta giocando una guerra forsennata: nel raggio di poche centinaia di chilometri producono Psa, Bmw, Kia, Volkswagen, Hyundai e Fiat.

“A Calolziocorte abbiamo invece mantenuto ricerca, sviluppo e progettazione. Ma abbiamo bisogno di allargarci lo stesso perché siamo passati dal movimentare stampi a movimentare pezzi stampati”. Lo spazio è vitale e scatena il cortocircuito con le lentezze d’Italia. “Dieci anni fa ho comperato un terreno agricolo di 40mila mq nel comune di Bosisio Parini, ma l’amministrazione non mi ha mai concesso il passaggio ad area industriale per realizzare un nuovo impianto”, si lamenta il titolare. La Pietro Fontana avrebbe creato 150 posti di lavoro. All’inizio “mi dissero che il Comune preferiva accorpare tutte le attività industriali in un’altra zona. Benissimo, pensai”. Peccato che tutto è rimasto fermo.

“Ci si scontra quotidianamente con giunte che non vogliono le aziende ma solo costruire residenziale o terziario”, villette a perdita d’occhio come se la gente potesse comprarsi tre case a testa. “Oppure vogliono il verde, salvo poi lasciare l’erba alta e le ortiche”, rincara l’imprenditore. E non si tratta di un po’ di fatturato in meno. In tempi di crisi e di mercati aperti ogni lasciata è persa, ogni autorizzazione che non arriva è un favore al tuo competitor dall’altra parte del mondo.

“Ogni tanto mi sogno ancora l’ordine da 80mila carrozzerie per Magna Steyr a cui ho dovuto rinunciare l’anno scorso. Una commessa da 200 milioni in 5 anni. Non ce l’avrei fatta in questi spazi”, rivela a malincuore Fontana. In Romania, invece, i problemi li risolvi in un giorno. La differenza è molto semplice: “la gente ha fame di investimenti e se vede la possibilità apparecchia la tavola velocemente.

Così hanno fatto in fretta e furia un censimento, la popolazione ha votato per darci subito la risposta. In un baleno abbiamo avuto a disposizione un’area di 40mila mq con cambio di destinazione d’uso. L’abbiamo acquistata e adesso stiamo costruendo il capannone”, gongola il signor Walter. Morale: “un’impresa che vuol crescere è costretta a farlo all’estero” In Italia ci sono troppi costi.

“Dobbiamo stampare pezzi in un posto e stivarli in un altro, spendendo oltre un milione di euro l’anno per affitti che potremmo dedicare agli investimenti, o a sostituire la catena logistica”. La storia di Walter Fontana è persino banale se non fosse il primo anello di un calvario che sta portando all’emorragia. Troppe tasse, pigrizie, e capannoni rimasti sulla carta per anni.

Nel 2005 l’imprenditore lecchese ha scritto una lettera ai giornali locali per spiegare che “da quando c’è l’Irap i conti non tornano più. Un’azienda è destinata al declino o a scappar via. Noi come molte altre aziende italiane nel 2008 abbiamo pagato il 120% di tasse sull’utile generato, in Turchia sei tassato al 20 e in Romania al 16.

Come si fa, sinceramente?” Non resta che l’estero. “Per ora ci dividiamo, ma è una scelta obbligata se non cambiano le cose”, s’immalinconisce. “Se la politica non produrrà le condizioni per pagare le giuste tasse sull’utile. Oggi bastano 3 mesi per spostare un stabilimento. Non è l’opinione di Walter Fontana, ma di tantissimi imprenditori italiani…”.

di La Stampa